I Death Cell sono una rock band veterana ma con una storia “fresca” di ripartenza. “Periferico” è il loro ultimo disco, aperto da “Maschera”, che rappresenta anche il primo singolo. Li abbiamo intervistati.
Siete nati nel 1990 ma siete “ripartiti” effettivamente nel 2014.
MIAB: Dove avete trovato la forza per rimettervi in discussione in un mercato difficile come quello della musica italiana?
Death Cell: In verità ci siamo ritrovati per puro caso. Non era mai stata programmata una reunion della band e l’unica novità nella formazione a quel momento fu il chitarrista: il nostro vecchio chitarrista aveva nel frattempo appeso lo strumento al chiodo definitivamente, appassionandosi alla fotografia. Siamo quindi tornati a suonare e comporre nuovi pezzi, rimanendo soddisfatti di quello che stavamo producendo. Gli anni passati, le differenti esperienze musicali, nessuno di noi aveva mai veramente smesso di suonare, e le nuove influenze ci avevano dato un nuovo stile e migliorato compositivamente e tecnicamente, mantenendo intatta la nostra affinità e la facilità di creare nuovi brani.
MIAB: Siete rimasti tra coloro che credono ancora nel rock, nonostante la tendenza attuale vada da altre parti. Vi sentite dei pesci fuor d’acqua?
Death Cell: Il mondo della musica è sicuramente diverso da quando abbiamo iniziato, in molti dei suoi aspetti. Non ci spaventa il confronto, fare musica è mettersi in gioco, tentare di rinnovarsi, sperimentare nuovi suoni. Ci abbiamo sempre provato e continueremo così. È nel nostro spirito di band.
MIAB: Ci raccontate qualcosa di come nasce “Periferico”, il vostro ultimo album?
Death Cell: Periferico è stato pensato e composto come un concept, con un filo conduttore, tra musica e testi, che rappresentasse un viaggio per l’ascoltatore all’interno di se stesso e dell’ambiente che lo circonda, per cercare le risposte e le certezze interiori necessarie alla sua collocazione come essere umano. Essere periferico è uno stato, un modo di porsi e di vivere. Ritengo che sia tra quello che di più prezioso ci ha dato il punk: il rifiuto di condividere a prescindere il pensiero e l’agire comune, nella musica come nella vita, per trovare la propria direzione, in piena libertà e autonomia, nel rispetto degli altri e in piena consapevolezza. È bene, quindi, rimanere periferici, con un punto di vista fuori da quello dominante, per apprezzare dettagli e vie alternative che i più non possono ormai scorgere e percorrere, o, peggio, che ritengono sbagliate e pericolose, perché chiusi e ingabbiati dai luoghi comuni e dal modo di vivere imposto dal sistema sociale vigente. Il nostro nome, Death Cell, sta a indicare proprio questa gabbia senza sbarre, invisibile, ma da cui è estremamente arduo evadere, che ci circonda da sempre e in cui rischiamo di passare tutta la nostra esistenza, dalla nascita alla morte. È la gabbia creata e perfezionata nel corso della storia da uomini per altri uomini, perché i primi possano sfruttare e prosperare sulla fatica e l’ignoranza degli altri. Si può chiamare in molti modi e le parole consumismo e capitalismo ne rapprensentano forse i nomi più moderni: potere e religione i più ancestrali. Periferico è dunque un grido di libertà e di progresso, perché queste sono le uniche condizioni per una giusta evoluzione umana, in contrapposizione alla paura e all’oscurantismo che, purtroppo, sembrano essere le basi di sviluppo oggi prevalenti. Una società dominata dal terrore, dall’ignoranza e dalla conservazione fine a se stessa è sempre destinata a creare individui deboli, plagiabili e facilmente comandabili.
MIAB: Aprite il disco con “Maschera”, che è anche il primo singolo. Ci raccontate qualcosa di più nel merito del brano?
Death Cell: Maschera è il naturale inizio del disco, sia come musica, che come testo. Musicalmente ha tutto l’impatto e la forza per essere un singolo, come infatti è, e l’attacco per un album, con il giro di basso che resta nelle orecchie fin da subito e l’incedere ipnotico e potente in un alternative rock scuro mescolato con sonorità dark e psichedeliche. È il brano che presenta le sonorità che prenderanno poi la loro forma nelle diverse atmosfere dei successivi pezzi del disco. Il testo parte dal concetto pirandelliano della maschera e rappresenta un momento di riflessione e di realizzazione del non essere uno e unico come si crede, ma differenti individui a seconda di chi ci sta intorno, cosa che impone di indossare una o più maschere per difendere, o meglio adattare, il proprio io più profondo. Ed è dalla frantumazione delle false sicurezze e dall’esigenza di capire chi siamo che parte il viaggio di Periferico.
MIAB: Cinque band che vi hanno influenzato particolarmente
Death Cell: Difficile risposta: abbiamo gusti differenti e ci piacciono tante band. Dovendo citarne qualcuna che abbiamo in comune: Black Sabbath, Pink Floyd, Joy Division, Nine Inch Nails, Tool. Ma ce ne sono molte, molte altre.
MIAB: Il primo posto in cui vorreste suonare dal vivo quando si potrà?
Death Cell: Ci sono molti locali dove abbiamo suonato in cui ci farebbe piacere tornare, come altri dove non siamo stati dove vorremmo farci sentire. L’importante è poter ricominciare a suonare dopo tutto questo brutto periodo che stiamo vivendo. È dall’inizio dell’emergenza che siamo purtroppo rimasti al palo. In questo momento saremmo già contenti di poter fare dei live, con la speranza che i locali non siano costretti a cessare l’attività per il protrarsi delle chiusure.