Pochi soldi ma tante idee sono le premesse con le quali Mudsand (Sandro Sgarzi) ha concepito l’opera seconda “A clown in town” riuscendo, però, a coinvolgere una fitta schiera amicale di musicisti bravi e passionali. Nonostante tutto, il raccolto è di quelli floridi, della serie “piccoli miracoli accadono”. 13 i brani in elenco, forgiati con la mente (ana)logica di chi è convinto che l’emozione sfoci attingendo dalle metodiche di lavorazione del passato, in modalità home-recording, per ricavarne delle demo come si faceva una volta. A schiudere il percorso spetta a “Realize yourself”: pimpante indie-pop suonato con un ricco intreccio di chitarre, mentre “Unlucky” alza la velocità in formato rock-wave assai slegato da stilemi tradizionali. In generale, colpisce l’impronta British che il Nostro ha saputo imprimere con quel narrato semi-sussurrato à là Pet Shop Boys: please, riscontrare in “Move them away”, o”The sounds are falling” ed i conti tornano, come se fosse in atto una fusione tra Jam e Pavement. Invece, sia “Look outside” che “Convert the love” donano spensieratezza senza mostrare superficialità con un easy-listening adulto e sensato. Poi, irrompono le stilose “Your head in my hand”, “Cannonball” e “Feeding my mind” che richiamano certa nobiltà sonora dei The Monochrome Set. A laccare l’opera, tocca alla placida “Next time”, tanto stramba quanto fascinosa nel punteggiare una malinconica tastiera filo-circense. Già in forza come bassista e co-autore dei Phono Emergency Tool, Sandro ha saputo sterzare alla grande nel viaggio solista. “A clown in town” sà di piccola, grande impresa e tutto è successo (è bene ricordarlo!) con scarsa pecunia ma tanto cuore e, forse, è stato meglio non disporre di una sontuosa produzione alle spalle poiché avrebbe condizionato quello slancio compositivo con il quale Mudsand ha saputo, invece, sorprendere ed emozionarci con gusto vintage.