Demoghilas – “Sin Easter”

Demoghilas – “Sin Easter”

Oggi caro lettore ti parlo dei Demoghilas, una one man band di Roma. Il factotum risponde al nome di Alfred “Venom” Zilla, artista particolare con una buona dose di follia tale da creare il disco in recensione ed assicurarsi la promozione della “Broken Bones Records & Promotion”. Il simpatico Alfred oltre a questo lavoro ha dato in pasto ai suoi fans anche: “Vengeance On All!” che come lui dichiara è nato dalla spontaneità, di pancia; “Gallows Hood” è nato dalla rabbia e dall’odio e “Sin Easter” è nato dal dolore e tuttavia dalla speranza. Il full-length è composto da nove tracce, tutte molto eterogenee con un mix di industrial-doom metal, qualche vocalizzo growl ed una bella spruzzata di gothic rock.

Il primo brano, “Gelivoid”, parte in modo molto inquietante con i sintetizzatori ed una voce quasi in falsetto che comunque risulta molto intrigante, poco dopo irrompono gli strumenti classici: chitarra, batteria e basso che si incastrano perfettamente nel contesto dando origine ad un pezzo estremamente particolare. Il secondo brano dal titolo “Bomb” parte dopo un conteggio alla rovescia che riporta tre volte il numero “six” e poi via, i ritmi non sono forsennati ma si sente la caratura tecnica dell’artista che si esprime in modo decisamente interessante. Il pezzo è caratterizzato da una voce strappata e a volte in growl, e l’andamento è un Doom-metal rockeggiante, molto melodico soprattutto per quanto riguarda il ritornello molto chatcy. La composizione scorre per i suoi sei minuti circa, in maniera gradevole non risultando mai noiosa. Sul finire i ritmi si abbassano, ed ecco un bel solo di chitarra molto preciso che si incastra perfettamente con la batteria che lo segue. Dopo un’altra piccola impennata. Si giunge alla terza canzone, “Hollow Win” dove i sintetizzatori e i cori aprono la traccia. A rimorchio la chitarra e la batteria, tutto molto tirato. L’ascoltatore viene quasi preso a sberle tanta e l’acredine che viene liberata dall’artista in questo terzo brano. L’andamento della composizione è molto altalenante, il ritornello decisamente melodico rende il tutto, nonostante suoni molto bene, qualcosa di già sentito, per cui mi fa storcere un po’ il naso, questo lo rende un po’ meno interessante.

Parliamo ora del quarto pezzo, “Barbecuetioner”, che inizia con delle frasi in inglese per poi lanciarsi con un gioco di chitarra molto divertente. Il mood è di nuovo quello del gothic rock, che piano piano aumenta i giri. Notevole l’uso della chitarra che con i suoi riff imperversa su tutto il pezzo, i ritmi sono in questo caso decisamente tamburellanti, la batteria spinge molto bene ed è potente e rotonda. Questo brano è caratterizzato da svariati cambi di tempo che lo rendono un brano divertente da ascoltare il finale è tutto da ascoltare…Ci affacciamo ora al prossimo pezzo, “Ensidious”, il quale parte con delle tastiere ed una voce acre ma allo stesso tempo suadente, il brano pare molto rilassato e molto tranquillo, ricorda un po’ quelle giostrine dei tempi antichi che giravano con i cavallini, oppure quei vecchi carillon polverosi con quelle bamboline inquietanti. Man mano che il brano procede la pressione sonora si alza, il brano diventa più potente, poi a metà brano, ecco la fiamma! Chitarra, batteria e basso tutti all’unisono ed il carichissimo Alfred urla nel microfono per poi dopo pochi istanti tornare da dove era partito, la calma…Ma che cosa ci potevamo aspettare, se non uno stop and go devastante. Infatti i rimi si rialzano improvvisamente. Il che denota come a volte la prima impressione è tendenzialmente sbagliata ed ecco che un brano che appariva molto tranquillo e rilassato diventa poi cazzutissimo.

L’elettronica apre il sesto brano dal titolo “Dark Side of Rome”, che da come è iniziato mi piace: chitarra in sottofondo, batteria pesant,e la voce e astios,a tutto doom oriented, qualcosa di un po’ meno comune da quello già sentito in altri album che ho avuto il piacere di recensire. Si sente la rabbia, ti sente la foga, si sente anche una certa claustrofobia nell’ascoltare questa traccia il ritornello è molto molto melodico anche se è semplicemente la ripetizione del titolo della traccia, rimane nella testa come un mantra è da un bel senso al tutto, anche l’utilizzo un pochettino più massiccio dell’elettronica esalta il brano rendendolo ancora più interessante. La title track attacca con un delicato arpeggio di chitarra per poi proseguire con una doppia voce, una decisamente growl l’altra più vomitata, i ritmi si alzano lentamente ma si sente che vogliono alzarsi. Tutti gli strumenti sono belli carichi mentre invece il ritornello è molto più soft, meno tirato con dei riff di chitarra che fa ancora più apprezzare il fluire delle note. Arriviamo così al penultimo brano dell’album, dove anche qui l’elettronica conserva un suo climax, arriva a traino la batteria, grossa è potente. Si sentono i colpi di basso, un brano che è diventato il mio brano preferito dell’album. L’utilizzo più fantasioso delle tastiere ha impreziosito questa bella traccia. Il brano finale è la title-track rivista su base acustica, il brano se all’inizio può risultare con un po’ meno mordente poi recupera il suo essere, diventando carismatico, anche se l’utilizzo di un determinato tipo di voce appare stridere un po’ con le note acustiche. L’effetto finale è interessante e l’utilizzo della chitarra acustica ha davvero un suo perché nel fluire del brano.

Considerazioni Finali:
Il disco l’ho travato piacevole all’ascolto, ben suonato, ben arrangiato, sicuramente Alfred “Venom” Zilla ha tante cose da dire, e lo fa bene, raccontando la sua vita nelle sue canzoni. Quello che sinceramente non mi ha convinto è la voglia di fare qualcosa di diverso ma che alla fine, per alcuni brani, sa di già sentito. Un disco indicato soprattutto per gli amanti di quella musica senza “etichetta” che apprezzano le sonorità nella loro interezza senza inutili etichette.

Igor Gazza

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